E' in atto in queste ore una pesante aggressione da parte di un animalismo estremista. Un “pressing” sopra le righe nei confronti delle Istituzioni da parte di personaggi lontani dall’approccio francescano di chi scelse la “povertà” per difendere il creato, rappresentanti di un animalismo salottiero forte di vitalizi parlamentari e benefit.
La manipolazione della “realtà venatoria” italiana è figlia dell’esigenza di mantenere certi privilegi sulla pelle degli animali?
La domanda sorge più che legittima perché il quadro che rappresentano gli animalisti nostrani è ben diverso dalla realtà, “denunciando” aspetti che senza apportare miglioramenti alla condizione degli animali distolgono l’impegno delle Istituzioni dai veri problemi del Paese e dei cittadini a cui le difficoltà non mancano!
Si tace così che la questione in discussione non riguarda la caccia con le reti, in Italia vietata per stessa scelta dei cacciatori, al contrario di quanto avviene in altre aree dell’Unione le cui Istituzioni però, stranamente, non sono messe sotto accusa dai Commissari Europei.
Sui richiami, il mondo venatorio italiano si è posto prima dell’“animalismo verde” il tema delle procedure d’infrazione per regolamentare con norme più stringenti e rigorose, e con l’avallo degli Istituti scientifici dello Stato, la possibilità di catture limitate e controllate utilizzando strumenti, ovvero le reti, identici a quelli usati da quegli stessi Istituti a fini di ricerca, proprio perché non lesive del benessere degli uccelli catturati.
L’ideologia animalista si è palesata, in questa occasione, in tutta la sua virulenza per mortificare l’iniziativa approvata dal Parlamento per la qualificazione, sempre più supportata dalla conoscenza, delle nostre tradizioni rurali.
Al di là e in maniera molto più profonda e preoccupante del tema oggetto negli ultimi giorni di campagne gridate e aggressive, questo animalismo è un problema concreto per il Paese, per l’economia stessa delle nostre “campagne” e dei nostri mari.
Magari il prossimo passo dei “giustizieri” dell’ambiente sarà proprio l’abolizione, per restare in tema reti, di quelle per la pesca, mentre già nessuna preoccupazione pongono alle conseguenze sempre più pesanti del lavoro devastante delle nutrie sugli argini o delle ripercussioni sulle specie autoctone di quelle aliene che la stessa Europa chiede di eliminare, mentre da noi sono da loro strenuamente difese.
Quella dei richiami, è una questione emblematica di questo modo di pensare e di agire per il rilievo strumentale che le è stato attribuito, spropositato per l’accanimento sopra ogni ragionevole pensiero di fronte ai veri drammi dell’ambiente e del territorio che il nostro Paese vive e che dopo un fugace passaggio mediatico vengono presto dimenticati.
Gli italiani hanno regolarmente “bocciato” questi provocatori, che peraltro arrivano anche agli scranni parlamentari grazie alle liste bloccate. Sarebbe tempo finalmente che se ne comprendessero le conseguenze per gli interessi generali del Paese.
L’occasione della legge in discussione in Senato è utile al mondo venatorio per proseguire nella costruzione di una solida coscienza critica per una nuova e valida politica ambientale di governo, costruttiva e produttiva.
Noi continueremo a discutere con altri cittadini, con gli agricoltori, con il “popolo” che non grida e che lavora per il bene dell’Italia in migliaia di comunità locali, creando economia e ricadute positive per tutta la società.
Sono in corso centinaia di assemblee, di petizioni locali in piccoli e grandi paesi che, auspichiamo, le Istituzioni sappiano ascoltare. Il nostro è uno “stile” di vita diverso che non provoca e non accetta provocazioni. È alla politica, a quella che vuole dare concretezza e saggezza, e soprattutto far ripartire l’Italia in un modo concreto, che spetta dare una risposta coerente a questi signori. Ad aspettarsela non sono solo i cacciatori.
Federcaccia, Enalcaccia, Arci Caccia, Liberacaccia, ANUUMigratoristi
Roma, 19 luglio 2014